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di Valentina Berengo

È una casa editrice di nicchia, anzi di culto. Si chiama Playground ed è nata nel 2004. Abbiamo il piacere di poter intervistare Andrea Bergamini, direttore editoriale.

PBS: Partiamo dall’inizio: il nome. Qual è il “campo da gioco” in cui scendete? E perché nel logo lo avete barrato?

AB: Il campo da gioco, sarà banale, ma è la vita e i mille modi di raccontarla. Di questo si occupa la letteratura, sia nelle sue forme realiste, surrealiste, iperrealiste, e così via, sempre lì si approda, alla vita e a come la percepiamo. La metafora del campo da gioco rimanda al fatto che il risultato (l’esito della partita) non è mai deciso all’inizio. Da noi non si procede per tesi, ma si accoglie anche l’imprevisto.

Playground è barrato perché non ci fidiamo di quello che è nitido e perfetto. Poniamo limiti anche a noi stessi, alla nostra interpretazione delle cose.

PBS: Gli scrittori che pubblicate in Italia non sempre sono noti al grande pubblico, ma hanno discreta fortuna all’estero (e per la maggior parte in effetti sono stranieri). Qual è la vostra linea editoriale? Come “portate a casa” un autore?

AB: Cerchiamo di proporre ai lettori italiani autori che amiamo, ma che in Italia non sono ancora conosciuti come meriterebbero. Parlo di autori, perché resto convinto che la letteratura migliore non sia fatta da intuizioni “miracolose” che si esprimono in un solo romanzo, ma dal dialogo che un autore capace e di talento stabilisce con la vita nel corso del tempo.

Ci siamo concentrati sulla letteratura nordamericana perché ci sembra che nel dopoguerra sia quella più rilevante e che abbia espresso scrittori di maggiore talento. Però guardiamo anche all’area francofona. L’assenza di altre aree è anche legata al fatto che pubblichiamo solo libri di cui abbiamo la possibilità di leggere il testo in originale. Non pubblichiamo nulla sulla base di schede di valutazione.

PBS: Più volte nei vostri romanzi si racconta di storie in cui l’amore non ha genere: è una scelta voluta, paradossalmente “di genere”?

AB: Lo era all’inizio, parlo soprattutto dei primi tre anni di attività della casa editrice, tra il 2004 e il 2007, poi progressivamente quella connotazione di “genere” si è annacquata. Resta il fatto che il tema, ma direi l’esistenza, delle persone omosessuali è centrale nel nostro mondo, e quindi lo si racconta.

PBS: Tra gli italiani, scegliete chi è in grado di raccontare una generazione, come Matteo B. Bianchi, o un mondo concluso, come Gilberto Severini, entrambi in qualche modo legati ad un passato più o meno recente. Pubblichereste volentieri un esordiente, diciamo un “nativo digitale”?

AB: Sì, non abbiamo preclusioni, purché oltre all’energia della gioventù l’autore abbia anche qualcosa di rilevante da raccontare, e sappia farlo con talento. Ammetterà che non è sempre semplicissimo.