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Recensione di Valentina apparsa su “il Bo” il 21 novembre 2012 del romanzo breve “Io e te” di Niccolò Ammaniti (Einaudi editore, collana Stile libero big, 116 pagine) e del film che bernardo Bertolucci ne ha tratto.

L’ultimo romanzo (breve) di Ammaniti, Io e te (Einaudi, 2010), è insolitamente dolce, specie se comparato ai suoi primi lavori, di cui si può avere un saggio anche nell’ultima raccolta Il momento è delicato, pubblicata quest’anno ma che contiene anche le prime prove di scrittura dell’autore romano. Non fanno testo, quindi, gli ultimi racconti apparsi in libreria, che ricostruiscono il suo percorso letterario fino agli esordi, quando era annoverato tra gli “scrittori cannibali”: è Io e te,l’ultima opera composta, a delineare la maturità letteraria di un autore che incarna il nostro presente, sia nella cifra stilistica che nei contenuti.

Niente più cervelli spappolati, vagabondi buoni che finiscono per stuprare una ragazza per solitudine, gruppi di amici che involontariamente uccidono la malcapitata di turno infilandole un ombrello nell’occhio, e altre distonie simili. Io e te racconta in prima persona la storia di un adolescente solitario, figlio di divorziati, che per non dover affrontare la convivenza coi coetanei in gita scolastica si nasconde nella cantina di casa per una settimana intera, così da far credere alla madre di esserci stato, in montagna coi compagni. Solo che inaspettatamente si installerà nella sua stessa cantina la sorellastra Olivia, figlia del padre e della prima moglie, eroinomane e sola, ma dal carattere fortissimo, e tra i due nascerà un sentimento salvifico per entrambi.

In poco più di cento pagine Ammaniti  trasforma la rabbia dei suoi personaggi in una dolcezza melanconica; la denuncia e il racconto di un’epoca stravolta in speranza. Tutto senza cedere alla sdolcinatezza, ed anzi coltivando, con una scrittura che ricalca la lingua d’uso comune ma fattasi letteratura, l’attenzione per una realtà piena di cose e di situazioni mai realmente letterarie.

Le distonie, le costruzioni grottesche, gli strappi violenti ed improvvisi sono solo attenuati, come un uomo che racconta le miserie umane sussurrando anziché gridandole ad alta voce. E anche se in extremis ristabilisce il finale senza speranza, in Io e te l’analisi e la descrizione che l’autore ha sempre fatto del mondo si è infine spogliata delle esagerazioni di cui s’è cibata (con risultati invero notevoli, come la stessa raccolta di racconti Fango) ed è diventata in questo modo veramente appuntita e dolente, e insieme dolce.

Una dolcezza non scontata, che più che nel libro trova piena forma nel film che Bertolucci ne ha tratto, in questi giorni nelle sale. Non è forse un caso che Bertolucci abbia tenuto l’happy end della penultima pagina, in un film pienamente riuscito, complice una colonna sonora veramente indovinata (su tutte Ragazzo solo, ragazza sola di David Bowie) e la scelta degli attori (gli esordienti Tea Falco e Jacopo Olmi Antinori) che quasi non recitano ma sono essi stessi i personaggi che interpretano.

Questo è il quarto romanzo di Ammaniti che diventa un film (forse grazie anche al suo agente che si dice essere un vero e proprio mastino): nei precedenti gli aspetti più “cannibaleschi” erano stati opportunamente taciuti e Salvatores era riuscito così ad attenuare i passi volutamente stridenti e grotteschi dell’opera letteraria ed invece ad accentuare il carattere empatico.

In Io e te la regia è completamente rispettosa del mood del romanzo: l’unica pennellata che il grande maestro dà interamente di sua mano è la sensualità che pervade in crescendo l’atmosfera claustrofobica della cantina dove i due fratelli convivono fuori dal tempo e dallo spazio di una realtà normalmente scandita. E così, nove anni dopo The Dreamers e sedici dopo Io ballo da sola, il regista trasforma Olivia (Tea Falco) e la sua personalità ribelle e alterata dalla droga, in un’icona della sensualità la cui bellezza non ha nulla di quelle da copertina ma racchiude il fascino dello spingersi ai confini della normalità. E in questo c’è molto di Ammaniti.

Valentina Berengo





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