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Intervistiamo Grazia Verasani, autrice del celebre Quo vadis, baby? da cui è stato tratto il film di Salvatores, sul suo ultimo romanzo La vita com’è. Storia di bar, piccioni, cimiteri e giovani scrittori (la Nave di Teseo, collana Oceani, 219 pagine) che secondo noi ti piace se sei fatto così:

Genere: maschio o femmina

Età: dai 20 anni in su

Carattere e stato d’animo: Sei una persona ironica e spregiudicata, ma non hai voglia di ridere per ridere. Ti piace riflettere con occhio critico sul mondo e a volte hai un pizzico di nostalgia del passato. P.S. hai un romanzo nel cassetto!

Libri piaciuti: Quo vadis, baby? di Grazia Verasani, Momenti di trascurabile felicità di Francesco Piccolo, Il collo mi fa impazzire di Nora Ephron

Ascolta l’intervista (o scarica il podcast qui):

Se invece preferisci leggerla, di seguito ne trovi la trascrizione.

: In che senso hai raccontato “storie di bar di piccioni e di scrittori”?

R: Dato che tutta la storia inizia con un piccione, e finisce anche con lo stesso piccione, mi piaceva dare questa nota. Ecco, per far capire anche che è una commedia non banale, nel senso che è una storia che ha la presunzione di far ridere e anche di far pensare. Ovviamente come ci si aspetta da ogni libro. Quindi c’è una dose di comicità ma anche di malinconia, perché è un timbro che c’è in quasi tutti i miei libri. È una storia molto semplice, è un affresco di un quartiere di Bologna e la protagonista è una scrittrice, quindi ci sono anche degli elementi palesemente personali, autobiografici, e si narra il suo incontro con un aspirante scrittore che ha un manoscritto inedito e l’incontro-scontro tra due generazioni in una realtà che è abbastanza diversa da quella degli esordi della protagonista. In tutto questo c’è uno sfondo che è fatto dalla gente, dai bar, da un bacio dentro un cimitero… quindi anche da situazioni molto quotidiane, che cerco di raccontare in maniera semplice.

 

D: Ma chi sono i giovani scrittori di oggi? E chi erano quelli del passato?

R: Mah, gli stessi del passato, non credo che ci siano delle grosse differenze, a parte probabilmente che negli ultimi trent’anni questo Paese ha avuto, come dire, delle mitologie, no? E rispetto al successo facile, quando ho iniziato io si faceva probabilmente più gavetta, e si tentava molto di più di migliorarsi, di arrivare a una scrittura che fosse degna di pubblicazione e non si cercava di farlo per avere una visibilità, per esistere. Oggi si pubblicano tantissimi libri, c’è molta meno selezione, ma il rischio è quello che anche gli esordienti, magari quelli capaci, quelli di talento, risultino sommersi in questa quantità, un marasma di pubblicazioni in cui il lettore non riesce più a orientarsi. Quello che è uguale ad allora è la passione: una persona che vuole scrivere oggi è motivata dalla stessa necessità che potevo avere io quando ho iniziato più di vent’anni fa. Cambia il contesto, cambia il fatto che oggi abbiamo una società molto competitiva, molto agonistica, in cui magari elementi di scaltrezza, furberia, sembrano quasi diventati il secondo lavoro per chi vuole in qualche modo imporsi o trovare uno spazio.

 

D: In questo libro la protagonista è come se avesse una chiostra di maestri: ci sono il Poeta, lo Scrittore, lo Sceneggiatore, che tu chiami così, proprio con questi nomi, con l’iniziale maiuscola. Quanto abbiamo bisogno di maestri nella scrittura, ma anche nella vita?

R: Penso che oggi come oggi i maestri, quelli che sono rimasti, tendano ad essere molto isolati, ma per loro scelta. C’è sempre qualcuno che ogni tanto spunta e dice: «Il romanzo è morto» o che non legge “i giovani”, che “non è interessato”. Una volta invece c’era molto più la voglia di trasmettere la propria esperienza e di passare il testimone. Io ho avuto la fortuna di incontrare tre persone nella mia vita che sono state fondamentali: Roberto Roversi, Tonino Guerra e Gianni Celati, e devo dire che la mia formazione è avvenuta attraverso la loro lettura delle mie cose e i loro consigli, e quindi per me La vita com’è è anche un omaggio a loro, perché in qualche modo se poi sono riuscita a combinare qualcosa è stato anche attraverso le loro lezioni. Oggi è molto difficile, però i maestri ci sono. Io li incontro andando spesso nelle scuole: ci sono degli insegnanti molto motivati, ci sono scrittori che ascoltano i più giovani e danno consigli. È tutto un po’ dovuto al caso, per cui in realtà bisogna aiutarsi molto più da soli, e forse i maestri oggi sono quelli che leggiamo attraverso i loro libri, perché incontrarli è sempre più complicato e non c’è più quel rapporto maestro-discepolo. Denoto, purtroppo, che c’è anche un po’ l’arroganza di pensare di sapere già tutto, di voler arrivare subito al sodo, e quindi di evitare i passaggi che invece dovrebbero essere imprescindibili e naturali per costruire una scrittura propria, un proprio stile, una propria voce. Oggi leggere i libri dei maestri aiuta di più forse di incontrare la persona reale, perché poi… gli scrittori dove li trovi? Li vedi ai festival, o quelli che sono su Facebook li puoi contattare facilmente, però pochi, secondo me, hanno l’effettiva generosità di seguirti, darti una mano a capire il tuo percorso. C’è una sorta di, non vorrei chiamarla avarizia, però una tendenza a pensare a sé e quindi a salvare la propria, come dire, “pellaccia”.

 

D: … Che non è quello che fa la protagonista del tuo libro, perché alla fine, in realtà, si apre molto con lo scrittore esordiente che, in qualche modo, oltre ad avere un romanzo nel cassetto, pare sia interessato proprio a lei. Cosa ti stimolava nello scrivere di questo rapporto, così impari? Impari d’età ma anche per ragioni di potere: uno ha il potere della giovinezza e l’altra ha il potere dell’esperienza e di chi ce l’ha fatta.

R: Io non amo molto i rapporti di potere. Il potere è diventata una moneta corrente. Tutti lo vogliono, anche nelle cose più spicciole. Quello che racconto è un incontro tra generazioni diverse che si confrontano, però alla fine si capisce che è molto meno sbilanciato di quanto si creda, perché se è vero che lui la cerca perché è affamato di tutta una serie di cose che gli mancano (dicevi tu l’esperienza…) lei, d’altro canto, è un po’ demotivata rispetto al suo mestiere e verso la vita in generale, quindi ha bisogno in qualche modo di essere un po’ rivitalizzata dall’entusiasmo di lui. C’è quindi un travaso, in qualche modo, un contagio: si contagiano a vicenda e questo è bello perché quello che all’inizio può sembrare un rapporto impossibile, diventa invece qualcosa di costruttivo, dinamico, uno scambio assolutamente alla pari.

 

D: C’è un tuo libro che è diventato un film e addirittura una serie TV: Quo vadis, baby?. Che rapporto hai con i protagonisti che ritornano? Scriverai ancora di lei, Giorgia Cantini?

R: Sicuramente sì: ho già scritto cinque storie con lei in un ambito noir. Mi piace però giocare con i generi, quindi passare da uno all’altro, e finché avrò la possibilità di essere libera in questo senso continuerò. Giorgia è un personaggio che è piaciuto, che ha avuto una sua fortuna, che è molto legato alla mia città, Bologna, nelle sue trasformazioni, nelle sue problematiche sociali e quindi sicuramente il prossimo libro che scriverò sarà su di lei: una nuova storia con lei.

 





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