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Recensione di Valentina apparsa su “il Bo” il 30 ottobre 2012 del romanzo “L’estate senza uomini” di Siri Hustvedt (Einaudi editore, collana Supercoralli, traduzione di G. Guerzoni, 151 pagine).

Siri Hustvedt fa parte di quell’intellighenzia americana cui appartengono il marito Paul Auster, Jonathan Safran Foer, la moglie Nicole Krauss, Jeffrey Eugenides, Jonathan Franzen, solo per citarne alcuni dei più noti. Tutti amano far trasparire una certa superiorità intellettuale nei loro romanzi, per esempio servendosi di forme di scrittura non tradizionali (maestro ne è proprio Safran Foer che inserisce nel testo fotografie, disegni, font particolari per riprodurre i pensieri dei suoi personaggi); secondariamente, non può non colpire il lettore europeo il fatto che tanti di loro hanno radici nel vecchio continente ancora molto prossime: i genitori di Paul Auster sono ebrei polacchi, la madre di Nicole Krauss è inglese  e di origini ebraiche pure lei, il padre di Franzen è svedese e i nonni di Eugenides, come suggerisce il cognome, greci. Una doppia sensibilità che li accomuna e che si riflette chiaramente nella loro scrittura.

Siri Hustvedt, dal canto suo, ha i genitori norvegesi, e, in quanto a espressione di un pensiero elaborato e colto, i suoi libri non mancano di mostrare come l’autrice sia erudita e piena di talento non solo nello scrivere in prosa, ma anche di saggistica e poesia, e in tutto questo si legge un autocompiacimento neppure troppo celato.

L’estate senza uomini (Einaudi, 2012), l’ultimo suo libro, per esempio, riassume, sotto forma di romanzo, quella che appare come una lunga seduta psicanalitica. In un unico capitolo, quasi che interrompere la narrazione fosse interrompere il flusso della coscienza, la poetessa cinquantenne Mia inframmezza la sua riflessione esistenziale di moglie abbandonata con le vicende della fuga difensiva che ha messo in atto per non soccombere all’assenza del marito. Dopo una crisi nervosa che le ha comportato una settimana di ricovero, Mia torna infatti nella casa materna, nel Minnesota, per un’estate intera, e lì si relaziona quasi esclusivamente con esponenti del genere femminile: dalle ragazzine tredicenni cui impartisce lezioni di poesia alle amiche centenarie della madre, “i Cigni”, che indossano “pantaloni ben stirati e maglioncini […] con applicazioni o ricami con mele, cavalli o bambini danzanti”.

L’alterazione della quotidianità fa si che Mia possa estraniarsi dalla sua vita, come se le fosse dato di sospendere il tempo: rivive l’adolescenza in qualità di spettatrice parlante attraverso le esperienze delle sue allieve, la giovinezza dai racconti della figlia, ancora inserita nel vortice della vita di città, le rinunce dovute alla maternità con Lola, la sua giovane vicina; vive l’anticipazione della vecchiaia negli incontri quasi clandestini con una dei Cigni, che le svela la passione per l’arte e di cui si intuisce l’omosessualità, e infine affronta, ancora una volta da spettatrice, la morte.

Le fasi della vita sono materialmente incarnate dai personaggi che attraverso la penna dell’autrice si trasformano in dimostrazioni di questa o quella caratteristica dell’esistenza femminile. Le riflessioni di Mia, ovvero di Siri Hustvedt, accompagnano in modo invasivo lo svolgersi dell’azione e talvolta la snaturano imponendosi come veri e propri brani dal taglio saggistico, salvo poi ritornare a dialogare con il lettore tramite una diretta invocazione o ringraziamento (“E vi dirò in tutta confidenza, vecchi amici, perché ormai lo siete Coraggiosi Lettori […]”). Ci sono anche molte poesie a cadenzare il racconto, essendo l’autrice anche poetessa, ma la sensazione complessiva è quella di un aver voluto mettere tutta se stessa sulla pagina fino a debordare, affastellando brani che potrebbero essere stralci di diario o di un taccuino di viaggio, più che parti di un romanzo autonomo. Questa è la sua cifra, l’esperimento della sua scrittura: è la risposta femminile (e invecchiata) allo sperimentalismo di Safran Foer o all’erudizione di Eugenides ne “La trama del matrimonio”; una narrazione che estrinseca e razionalizza il dolore, invece di tacerlo e celarlo, come accade ne “Le Correzioni” di Franzen.

Il pregio di questa scrittura sta nei vertici di dolcezza, fragilità e sincerità che traspaiono dal testo proprio laddove Siri Hustvedt non ha studiato la lezione sul femminismo, o su Jane Austen, o ancora non vuole istruire il lettore sciorinando mezza pagina di nomi di poeti “più o meno pazzi”, uno per uno: “Torquato Tasso, John Clare, Christopher Smart, Friedrich Hölderlin, Antonin Artaud, Paul Celan, Randall Jarrell, Edna St Vincent Millay, Ezra Pound, Robert Fergusson, Velimir Chlebnikov, Georg Trakl, Gustaf Fröding, Hug Mac-Diarmid, Gèrard de Nerval, Edgar Allan Poe, Burns Singer, Anne Sexton, Robert Lowell, Theodore Roethke, Laura Riding, Sara Teasdale, Vachel Lindsay, John Berryman, James Schuyler, Sylvia Plath, Delmore Schwartz”. Lì dove, cioè, la penna le scivola felice, nei dettagli dei maglioni “dei Cigni”, nelle descrizioni di Flora, bambina che non riesce a separarsi dalla sua parrucca specie quando i genitori litigano, nell’ingenuità del racconto dei sentimenti di paura, l’autrice conquista la parte irrazionale del suo lettore. Come quando racconta della sua mamma e di come fosse insostituibile: “Pensai che mangiava troppo poco. […] Per anni aveva cucinato e infornato per un esercito, conservando gli avanzi in un gigantesco congelatore in cantina. Aveva cucito i nostri vestiti, rattoppato le nostre calze di lana, lucidato rame e ottone fino a farli brillare. Aveva preparato riccioli di burro per le feste, disposto mazzi di fiori, steso e stirato lenzuola che profumavano di sole pulito quando ci dormivi.[…] Qualche volta adesso le tremavano le mani, e un piatto o un cucchiaio all’improvviso cadevano a terra. […] Man mano che invecchiava io facevo di più e lei di meno, ma il nostro rapporto rimaneva quasi immutato”.

In questo l’autrice è “americana” come ce la aspetteremmo, in pieno: istintiva, diretta, capace di far parlare alle emozioni i gesti. Non mediata. E per questo leggibile.

Valentina Berengo





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