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Sì, siamo delle nostalgiche inguaribili. Specie di questi tempi, in cui tutto corre veloce ed è magicamente virtuale, restiamo affascinate dalla potenza di una fotografia in bianco e nero, e dalla rievocazione di quegli anni, relativamente vicini, in cui la  vita era incredibilmente molto diversa da quella di adesso. Quantomeno nei ritmi, e nelle speranze. Perciò abbiamo amato l’ultimo romanzo di Giuseppe Lupo, Gli anni del nostro incanto (Marsilio editori, collana Romanzi e racconti, 160 pagine) che piace anche a te se sei fatto così:

Genere: femmina (ma anche maschio dai)

Età: dai 20 anni in su

Carattere e stato d’animo: chi ti conosce lo sa bene. Sei una persona che vive girandosi costantemente all’indietro. Provi un piacere struggente nel ricordare, persino momenti e tempi che non hai vissuto, ma che sono appartenuti a persone a cui vuoi bene. Ami la poesia dei gesti quotidiani, l’odore del freddo di chi è appena uscito e rientrato, le pubblicità degli anni sessanta, e ogni tanto fumi una sigaretta, anche se fa male

Libri piaciuti: La ricchezza di Marco Montemarano, Lo stesso vento di Valerio Aiolli, Una questione privata di Beppe Fenoglio

Ascolta l’intervista (o scaricala qui):

1) Il romanzo è un lungo racconto della vita passata di una famiglia, fatto da una figlia oramai quasi adulta al capezzale della madre che non ricorda più nulla. Ad un certo punto si dice:

Il tempo della nostra vita anteriore vale solo se lo ricordiamo? Se ce lo dimentichiamo, è come se il passato l’avessimo chiuso in una stanza e avessimo gettato la chiave.

È  davvero così?

Sì. Il passato ha un senso se noi ce ne ricordiamo. Se ce ne dimentichiamo è, banalmente, come se non fosse mai accaduto. Ma ogni cosa che dimentichiamo, cioè ogni cosa che non ricordiamo più, e quindi ogni cosa che magari non entra in un libro, su un foglio di carta, in una pagina, ogni cosa che non viene più raccontata, perde di importanza, si smarrisce. Quando scriviamo una pagina possiamo dire, con Word, salva ed ecco ciò che abbiamo scritto si salva, cioè viene ricordato, memorizzato, e questa è la funzione dello scrivere e del raccontare.

E i racconti che uno fa a se stesso nella sua mente valgono?

Anche quella è una forma di scrittura, un po’ anomala ovviamente, perché non c’è un pubblico, ma raccontare a se stessi qualcosa è comunque una forma di racconto e di memorizzazione di parole e di sensazioni. Quando studiavamo all’università, o anche al liceo, noi pronunciavamo le parole ad alta voce,  come se le nostre orecchie avessero bisogno di sentire quelle parole che noi stessi dicevamo, perché quello era un modo per farcele entrare dentro e dunque per ricordarle.

2) Rievochi nel romanzo un tempo vicino che però appare già lontano, come appartenesse ad un’altra era. Tu lo pensi con nostalgia? Con rabbia? Come ti raffronti con quel passato e con il presente?

Non sono tendenzialmente una persona che ha nostalgia, sono una persona che ha malinconia, questo sì. Nostalgia no, perché porta con sé il rimpianto, che non favorisce una chiara visione delle cose. La nostalgia inganna: ha ingannato perfino Ulisse che alla fine è tornato a casa. È un sentimento che va preso con le pinze, la malinconia invece è qualcosa che ha a che fare con il senso della memoria del tempo che è passato.
Io quando guardo agli anni sessanta [durante i quali è ambientato gran parte del romanzo] sono sempre preso da tanta meraviglia, perché sono stati anni bellissimi. Sono nato nel ’63 quindi non li ho vissuti coscientemente, ma li ho sentiti raccontare da quelli che erano adulti, e sono stati anni belli per tutti. Per un’Italia che finalmente aveva compiuto il passaggio da una civiltà della terra a una civiltà industriale, belli perché tutti hanno sognato, tutti sono stati meglio di come stavano prima, quindi c’è stato davvero un benessere democratico, e credo che le famiglie che in quel tempo si sono formate avessero la percezione di fare qualche cosa che era una conquista. Poi noi abbiamo perso questo sentimento, perché non sempre il tempo futuro è stato per noi una conquista, e tuttora oggi, per esempio, non lo è. I giovani stanno male, stanno di certo peggio di come stavano i loro padri, e questa è una cosa anomala, perché di solito i figli dovrebbero stare meglio dei padri.
Quegli anni sono quindi per me gli anni belli, gli anni dell’incanto, e io li guardo con un po’ di malinconia, più che di nostalgia, perché perché sono finiti presto: incomprensibilmente ci siamo fatti del male con la bomba di Piazza Fontana, ed era solo il ’69. È durato tutto troppo poco. Abbiamo voltato pagina, e l’Italia l’ha fatto diventando una nazione violenta, terribile, insanguinata.

3) Gli anni del nostro incanto sembra essere anche un romanzo sull’identità. Dici:

Uno può anche restare folgorato dagli scherzi che il destino gli mette davanti, ma non fino al punto di rinunciare a quello che riempie il pozzo dell’anima e tacitare il gran rumore di quel che siamo, ciascuno di noi, nella sfilza di attimi mancati che è l’eternità: ricordi, suoni, sapori, fantasie di un tempo perennemente in fuga.

Ti chiedo: credi che tutti, specie in questo tempo in fuga di cui parli, riescano a riempirsi il pozzo dell’anima con qualcosa?

Purtroppo ho la sensazione che questo non accada più così facilmente: noi continuiamo a fuggire da noi stessi, forse. Proviamo a colmare i vuoti, però la sensazione è che spesso non riusciamo a respirare aria, non riusciamo a “ingurgitare” immaginario, fantasie, sogni, progetti, che poi diventino il futuro. Purtroppo siamo intrappolati in una dimensione del quotidiano che tendiamo a far ripetere uguale: oggi come domani, domani come dopodomani, così c’è sempre un’eterna giovinezza, così abbiamo la sensazione che il tempo non finisca mai, o non scorra mai, invece il tempo passa. Passa per tutti. Questa è l’epoca della frantumazione del tempo lungo: abbiamo perduto, secondo me, la visione e il respiro del tempo. Ci accontentiamo del presente che spesso è ripetitivo, quotidiano, monotono, grigio. Abbiamo perduto anche la capacità di sognare. I giovani spesso di fronte alla domanda: quali sono i vostri sogni? più che altro fanno l’elenco dei desideri, perché desiderano oggetti, ma i desideri non sono sogni. Il sogno è concepire l’idea di andare sulla luna, magari a far nulla, ma essere in grado di sviluppare questo sogno, che poi altro non è che un bisogno di affermazione nel mondo. Ecco, i sogni sono altro rispetto ai desideri, e adesso non voglio fare frasi da Baci Perugina, però le grandi proiezioni − il proiettarsi in avanti, il pensare, e progettare, i prossimi anni − tutto questo non c’è più. Non c’è più da nessuna parte. E questo è un peccato.

4) Nel tuo romanzo si raccontano anche molti modi d’amare: filiale, fraterno, coniugale, e forse, si tenta il racconto dell’amore nella sua essenza. Penso a quando scrivi:

Un uomo è un uomo anche quando dice le bugie. E tu sapevi che il tuo Luis era in grado di dirle. Ne aveva dette tante anche a te, nella vostra gioventù, ma erano bugie di un uomo che ti amava e quando un uomo ama, può essere perdonato anche delle bugie che si inventa.

Dire una bugia in amore è concesso? Fa parte dell’incanto?

Fa parte del gioco tra un uomo e una donna.  Non sto facendo, naturalmente, l’elogio della bugia né sto facendo l’apologia della bugia: non sto dicendo che bisognerebbe fare come fa Luis che magari tradisce la moglie, però poi, essendo lui un uomo che ama, va perdonato. Voglio dire che negli equilibri tra un uomo e una donna una bugia ci può anche stare, perché a volte le bugie sono delle verità indirette: non è perché uno vuole essere ingannato o vuole ingannare, ma a volte sulle bugie si fondano delle verità che altrimenti non riusciremmo a vedere. L’elasticità nei rapporti implica anche l’idea che ci siano delle vie di fuga.

5) Sei già al lavoro per un prossimo romanzo?

Sono al lavoro sul prossimo romanzo che racconta la storia di un individuo da quando nasce a quando diventa adulto, in una certa famiglia, in certo ambiente che gli ha suggerito e gli ha fornito gli strumenti per diventare adulto in un certo modo.

E ci porterai ancora nel passato o nel presente?

Nel passato e nel presente: è una storia che inizia nel passato e arriva, non dico ai giorni nostri, ma almeno fino agli anni novanta.





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