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recensione del romanzo di Hanya Yanagihara “Una vita come tante” sotto forma di dialogo tra Valentina e Valentina, che si rimbalza le opinioni. A voi i commenti.

È possibile soffrire come un cane leggendo una storia di fiction?

(Silenzio). Sì. Te l’assicuro.

Davvero?

Sì.

Ho dovuto anche saltare delle pagine, quando era davvero troppo. Ho fatto incubi tutte le sante notti, mentre lo leggevo. Di morte.

Oddio.

E di giorno le persone attorno a me mi dicevano ma cos’hai.

Oddio. Ma è giusto soffrire così? (Silenzio). Per un libro?

Che domanda è?

Non potevi lasciarlo? Di solito si legge per piacere non per soffrire.

No, non credo.

Allora tu dici che la letteratura deve avere una funzione catartica?

Leggendo questo romanzo te lo chiedi. Sì.

E quindi?

Dico che questo è un romanzo che ti apre i pori della pelle prima ancora che il cervello e il cuore. E poi anche il cervello, il cuore, le viscere, i polmoni, le orecchie, fa sudare le mani e colare il naso.

Non capisco.

È difficile spiegarlo. All’inizio, cambiavo idea di continuo, se mi piacesse o non mi piacesse, se lo trovassi geniale o terribilmente astuto.

E alla fine?

Leggilo e fatti la tua idea.

Ma sono più di mille pagine…

Appunto. Una vita intera.

Una vita come tante, il titolo.

Non mi piaceva il titolo, all’inizio, per esempio. Per niente accattivante. Una vita come tante, e allora? Sai che noia.

E poi?

E poi, come nelle opere di arte contemporanea, capisci il titolo quando hai capito l’opera, o viceversa. E lo trovi perfetto. O anche la copertina. È respingente, no? La foto in bianco e nero di un uomo che fa una smorfia di dolore.

Già.

È un orgasmo.

Un orgasmo?

Sì. In una foto del fotografo Peter Hujar del 1969.

(Silenzio).

Lui è Jude St Francis, il protagonista assoluto di questa storia, nell’interpretazione più banale della copertina.

E chi è Jude?

Jude all’inizio del libro è uno studente di legge senza un soldo. E alla fine è un avvocato di successo. Ma non ti ho risposto vero?

(Silenzio).

Lo so. Jude è una specie di nodo da sciogliere, ecco. Soffre così tanto che riesce persino a farti rabbia. Perché vedi quanto gli altri lo amano e stanno in pena per lui.

E perché soffre?

Da bambino e da ragazzino gli sono successe delle cose terribili, e tu che leggi lo scopri poco per volta ma ne senti il peso da subito. E ne vieni a conoscenza comunque prima di quanto non accada agli altri protagonisti del libro, perché Jude non riesce a parlarne con nessuno. Jude è un sopravvissuto.

Sopravvissuto a cosa?

(Silenzio). Alla vita.

Ma non puoi dirmi di più?

E poi tu lo leggi lo stesso?

(Silenzio d’assenso).

Va bene, allora. Ti racconto degli altri.

Gli altri chi?

JB, Malcom, Willem, i suoi amici più cari, con cui faceva quartetto fisso ai tempi del college e che diventeranno uomini di successo (un artista, un architetto, un attore cinematografico) restando amici. E poi Harold, professore di Jude alla facoltà di legge che sarà suo padre perché l’adotterà da adulto, e Andy, di dieci anni più vecchio, il medico di Jude, sempre pronto a farsi carico del suo dolore. Tutti loro vedono in Jude quello che lui non riuscirà mai a vedere di se stesso, ed è per questo che, ogni notte, lui si taglia, di nascosto. Per ripulirsi l’anima. A Jude è stato portato via tutto. Eppure è come se quel tutto fosse superfluo. Jude ha una luce. Ma detto così non rende: devi leggere il romanzo.

Perché?

Servono tutte le pagine che l’autrice ha messo insieme, tutte le parole, tutti i respiri, tutti i dettagli per capire una vita intera. Le pause, e le accelerazioni. Ed è tutto meno che una vita come tante, quella di Jude, e di chi gli ruota intorno. È uno di quei libri in cui vorresti fermare il tempo, avvisare gli uni − che non possono sapere − di quello che sta succedendo agli altri, poter prevedere e prevenire. Impedire. Gridi nel silenzio della lettura. E come la vita vera, è piena di quei colpi di scena che non ti aspetti. La felicità. L’amore. E ancora il dolore atroce. Il successo, che non conta. La morte. E ti resta appiccicato addosso, questo libro, proprio come la morte quando tu resti, e qualcuno va.
Alle volte ho pensato che la Yanagihara stesse esagerando: troppo facile mi dicevo, se esageri è ovvio che soffriamo, che il sangue ci pulsa nelle vene, che il respiro diventa affannoso, che le lacrime riempiono i dotti e poi colano giù. E invece no. In realtà non esagera mai, descrive un lungo processo d’omeostasi, in cui l’equilibrio si rompe e si ricostituisce. Quello che succede è figlio di quello ch’è successo. Per quello non passa più.

Da come dici sembra una tragedia greca.

Senza il rigore formale, le unità d’azione, e il coro sei tu che leggi. È una mareggiata, un tuono, un torrente. L’energia si accumula e poi dirompe. E poi di nuovo s’accumula. In certi momenti pure m’annoiavo un po’. E poi perdevo il controllo qualche pagina dopo.

Ma finisce bene, almeno?

La vita finisce bene?

 

Ti può piacere se sei fatto così:

Genere: maschio o femmina

Età: dai 20 anni in su

Carattere e stato d’animo: sei coraggioso, introspettivo, paziente e generoso. Sei alla ricerca di emozioni forti, fortissime, e contemporaneamente anche di tenerezza.

Libri piaciuti: “Fato e furia” di Lauren Groff, “Dio di illusioni”  e “Il cardellino” di Donna Tartt




1 Comment:

  1. […] tante è quella che vorrebbe lo sfortunato protagonista. Se vi piace il lieto fine, lasciate stare: come hanno già scritto, la vita non finisce […]


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