Blog

Divorare il cielo di Paolo Giordano (Einaudi editore, collana Supercoralli, 430 pagine) è uno dei libri più intensi e coinvolgenti che abbiamo letto negli ultimi anni. Ti piace se ti riconosci in questo identikit:

Genere: maschio o femmina

Età: dai 20 anni in su

Carattere è stato d’animo: sei un lettore insaziabile ed esigente, ti piace che un romanzo ti appassioni, ti faccia pulsare il cuore e correre i pensieri. Stai vivendo un momento interlocutorio della tua vita e cerchi nei libri, negli altri, e in tutto quello che ti sta attorno, non certo risposte ma tante altre domande da aggiungere alle tue

Libri piaciuti: Una vita come tante di Hanya Yanagihara, Le otto montagne di Paolo Cognetti e Il corpo umano di Paolo Giordano

Ascolta l’intervista premendo play qui sotto (o scarica il podcast qui):

V: Ho letto da qualche parte che consideri questo libro un tuo nuovo esordio, perché?

PG: Perché è stata una scrittura rigenerante, non so neanche io dire bene perché, ma so che questo percorso mi ha liberato di tantissime scorie che mi si erano attaccate addosso dopo il primo libro, cose che non mi appartenevano ma che il mondo attorno, io stesso, per reazione a quello che era successo, mi ero appiccicato addosso. Questo libro mi ha spogliato, e liberato, mi ha fatto tornare a una grande libertà nello scrivere, a una grande gioia a tanti livelli.

V: Che significato ha il titolo del romanzo? Sono parole che a un certo punto uno dei protagonisti, il leader carismatico della storia, pronuncia: ma cosa vogliono dire?

PG: “Divorare il cielo” è chiaramente un ossimoro, un’esagerazione. I personaggi di questo romanzo e in particolare il protagonista Bern è caratterizzato da una fame insaziabile, da una bulimia di esperienze, di idee, di desideri, tanto che vuole inghiottire dentro di sé anche ciò che non si può toccare né raggiungere che è il cielo; e il libro ha sempre una tensione costante fra una dimensione molto terrena, terrestre ‒ infatti si parla molto di terra, della Puglia, degli ulivi, della campagna ‒ e una dimensione invece spirituale, di cielo, di assoluto. Il titolo con questo contrasto fra il divorare e il cielo cerca di tenere insieme anche queste due idee così opposte.

V: Questa storia, la storia di Teresa, Bern, Tommaso, Nicola, cui poi girano intorno anche altri personaggi come Danko, Giuliana e Corinne, è molto molto molto intensa: succede moltissimo fuori e dentro i personaggi. Da dove è venuta? Dove l’hai trovata? Da dove l’hai tirata fuori?

PG: Io avevo voglia come lettore di molta intensità. Secondo me i lettori cercano questa sintesi di esperienze ed emozioni molto forti, perché anche la letteratura oggi deve gareggiare con dei mezzi che all’apparenza sono più potenti ma in realtà io continuo a credere che un libro che riesce a regalarti un’esperienza assoluta vinca su tutte le altre forme di narrazione, e quindi questa è la mia sfida, questa volta: anch’io volevo un po’ divorare il cielo con questo libro. E ci ho messo dentro dieci anni della mia vita, ma anche dieci anni di letture, dieci anni di fantasie, di immagini, e le ho condensate nelle esperienze di questi personaggi, che sì, sono molto intense e cambiano molto.

V: Ma la storia ce l’avevi chiara fin dall’inizio o ti è venuta scrivendola?

PG: È una storia molto articolata, come avrai visto leggendo il libro. Sono otto capitoli in cui uno potrebbe quasi vederci otto piccoli libri, anche se i personaggi sono gli stessi, i movimenti sono continui, e una storia così non la puoi avere in mente dall’inizio. Quello che ho fatto è stato di rispettare veramente l’autonomia dei personaggi. Me lo sono imposto dall’inizio e aspettavo quando avevo esaurito ciò che sapevo della storia che arrivasse una nuova immagine o che il personaggio avesse una reazione nella mia testa diversa da quella automatica cui io avrei pensato e quindi questo ha richiesto in realtà una prima stesura molto lunga, la più lunga che mi sia mai capitata di avere.

V: L’amore in questo romanzo è indissolubilmente legato alla sofferenza, il pieno al vuoto, addirittura in modo disperato. Ti sei fatto cantore di sentimenti totalizzanti che non a caso iniziano nell’adolescenza dei personaggi. Come sei riuscito a renderli sulla pagina così forti, così puri?

PG: Guarda, hai usato questo aggettivo, puri, che è un aggettivo che è stato cardine nell’idea del romanzo. Dall’inizio mi ha guidato per tutto il tempo, cioè questi personaggi ruotano costantemente intorno a un’idea, a un anelito alla purezza. Purezza che è un concetto molto pericoloso, tutt’altro che positivo, tutt’altro che innocuo, perché il nome della purezza vengono commessi i crimini più efferati, le azioni più feroci, e credo che questa idea della purezza assoluta abbia ovviamente influito sul romanzo, che effettivamente è fatto di momenti molto assoluti. Poi nella scrittura a questo ci si arriva anche nella rilavorazione, quindi soprattutto nella condensazione, nella sintesi, nel togliere tutto quello che è di troppo. La prima stesura totale del romanzo era probabilmente quasi il doppio del libro com’è oggi.

V: E che comunque ha più di 400 pagine, quindi hai scritto tantissimo…

PG: C’è stato molto lavoro, sì. Molto molto lavoro, e molto tempo e molta energia, e spero che tutta questa energia oggi passi dritta al lettore.

V: Per quello che vale la mia opinione, sì assolutamente. Come ti dicevo fuori onda, io sono stata sveglia dalle dieci alle quattro della mattina per leggere: continuavo a dire “leggo ancora cinque pagine, ancora dieci, no, finisco il capitolo”… e alla fine ho letto tutto il libro in una notte. È stato incredibilmente intenso.

PG: Questa è la cosa più bella che un autore può sentire. Che ci sia questa fame di divorare il libro è il segnale più bello per chi l’ha scritto.

V: Teresa, Bern, Tommaso, Nicola e tutti gli altri sono tuoi coetanei, e sono anche miei coetanei. In qualche modo vuoi raccontare una generazione?

PG: Non è mai stato uno scopo preciso mentre scrivevo ma oggi, a libro ultimato, mi rendo conto che invece è molto racconto di una generazione, che c’è uno specifico di questi personaggi che riguarda di sicuro molto noi. Il fatto di essere cresciuti, di esserci formati ancora nel vecchio millennio, quindi con idee e ideologie molto forti che comunque abbiamo nel nostro imprinting, e di essere grandi nel millennio nuovo, dove invece c’è una polverizzazione assoluta delle idee e delle ideologie. I personaggi vivono questa nostalgia costante di qualcosa a cui tendono ma che sanno non essere più realizzabile. Questo credo di sì, credo che sia un tratto generazionale e spero di avere dato una fotografia di qualcosa che sta succedendo oggi.

V: La voce narrante è quella di una ragazza, anche se poi effettivamente ci sono altri personaggi che raccontano pezzi di storia, e sono uomini. Ti riesce facile, o ti piace, o è una sfida, calarti nell’animo di una donna?

PG: All’inizio è stata forse soprattutto una sfida, e poi è diventato un processo molto naturale, che mi ha fatto addirittura pensare che forse io scrivo sempre con la mia parte femminile, cioè forse quella più direttamente legata scrittura è una parte femminile, più inconscia infatti, secondo l’idea che l’inconscio profondo del maschio è femminile. Tanto che oggi, a un po’ di mesi dall’ aver finito questo libro, fatico a ripensare la mia scrittura in una voce diversa da quella di una donna, quindi c’è stato un processo mimetico negli anni di lavoro che è diventato poi di totale immedesimazione.

V: E forse è anche per questo che sei molto amato dalle lettrici…

PG: E chi lo sa! Io negli scrittori amo che ci sia una certa fluidità del genere: mi piacciono le scrittrici che prendono il punto di vista dei maschi e viceversa. Io amo molto le scrittrici, anche se non saprei definire cos’è femminile in letteratura, perché una questione molto scivolosa, so che io leggo moltissime scrittrici. Quindi per me la letteratura è veramente uno spazio che va oltre quell’idea di genere che viviamo e pensiamo quotidianamente.





Leave a Reply








Libri consigliati

Facebook