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Ci sono romanzi che letteralmente ti tolgono il fiato. Ti impediscono di continuare a vivere come prima: scardinano i tuoi riferimenti, tendendoti però la mano perché tu ti possa aggrappare, e metterti al sicuro. Salvare le ossa di Jesmyn Ward (NNeditore, traduzione di Monica Pareschi, 313 pagine) fa esattamente così. Ha la potenza del mito e la forza delle cose terrene, sfiora la tragedia, anzi ci passa proprio in mezzo, e nel lettore produce una catarsi.  Il veggente inascoltato? C’è. La minaccia incombente? L’uragano Katrina del 2005. La passione che divora i personaggi? Ciascuno ha la sua. Il coro? Siamo noi lettori.
Questo romanzo, universale, ti piace se sei fatto così:

Genere: maschio o femmina

Età: dai 20 anni in su

Carattere e stato d’animo: sei un lettore smaliziato. Quando leggi hai bisogno di essere stimolato nel profondo. Non ti spaventano le storie dure, quelle che raschiano la coltre superficiale dei buoni sentimenti. Anzi: sei in un momento della tua vita in cui hai voglia di schiettezza, di verità e di emozioni forti. Anche se fanno male.

Libri piaciuti: La vita felice di Elena Varvello, La bellezza delle cose fragili di Taye Selasi, Una vita come tante di Hanya Yanagihara

Ascolta l’intervista alla traduttrice Monica Pareschi premendo play sulla barra qui sotto (o scarica il podcast qui) oppure leggi la trascrizione sottostante:

Oggi [il 16 aprile] esce in libreria questo romanzo: tutti lo potranno leggere non solo i fortunati come noi che l’hanno letto in anteprima provando un’emozione veramente fortissima. La primissima cosa che ti voglio chiedere, visto che noi non abbiamo potuto assaggiare la lingua originale dell’autrice, è quindi: com’è la lingua di Jesmyn Ward? è così come sono i contenuti? così forte?

Intanto ti ringrazio per questa domanda, che piace sempre molto ai traduttori così possono parlare un po’ del loro lavoro. Direi che la lingua di Jesmyn Ward corrisponde davvero a ciò che narra ‒ questa è una caratteristica di tutti gli autori di grande qualità ‒ e quindi corrisponde alla violenza all’estremo che narra. Non ha niente di minimalista, anzi, proprio al contrario è una lingua che si espande, visionaria, anche lirica in molti punti, come spero si veda anche nella versione italiana.

È una lingua che spiazza di continuo con immagini inaspettate, per esempio è una lingua di corpi: corpi che diventano a volte parte del mondo vegetale e il mondo materiale in generale si confonde con quello immateriale. È una lingua che parla di corpo e di corpi, ma anche di fluidi. L’acqua, che è poi quella minacciosa dell’uragano [NdR: il romanzo racconta i dieci giorni prima dell’arrivo dell’uragano Katrina, il giorno dell’uragano e quello che segue], si declina in tutta una serie di fluidi, anche corporei: c’è molto sangue, vomito, sperma, sudore, l’elemento liquido corporeo è sempre molto presente.

Un’altra caratteristica è che la lingua di Ward passa di continuo dal livello colloquiale dei dialoghi dei personaggi [NdR: una famiglia di neri poverissimi, orfani della madre morta di parto, che vivono in una baraccopoli nel Mississippi], l’inglese aspro degli afroamericani attraverso cui si sente la rabbia, il risentimento atavico ma anche l’orgoglio di essere altro rispetto all’inglese standard, al tono lirico di certe descrizioni. È proprio questa mescolanza a caratterizzare la lingua di Jesmyn Ward.

L’autrice fa esplicito riferimento alla tragedia greca: cità costantemente Medea, libro che sta leggendo la giovane protagonista Esch, che si scopre incinta del ragazzo che ama ma che non la riama e sta con un’altra. Il riferimento alla tragedia classica è per Jesmyn Ward, secondo te, ispirazionale?

Sicuramente Jesmyn Ward si appropria di un archetipo classico occidentale e lo usa in modo estremamente consapevole. Poi naturalmente c’è la grande tragedia americana della schiavitù e della segregazione sullo sfondo, anche se non è un romanzo dove vengono presentate tensioni razziali: i pochi bianchi che si vedono sono addirittura intravisti, sembrano un po’ dei fantasmi. Però certamente il periodo della segregazione è evocato, così come la povertà dei personaggi che vivono di espedienti in una zona che è una specie di baraccopoli. Ecco, sicuramente sullo sfondo c’è questa ingiustizia sociale che deriva dalla schiavitù. Però si sente soprattutto la tragedia, che qui è una tragedia al femminile, guidata dal filo rosso del mito di Medea, che è una tragedia trasversale alle classi che inscena quello scontro tra il maschile è il femminile che conosciamo anche noi. Non è quindi qualcosa di legato solo alla classe sociale, allo specifico gruppo, alla minoranza eccetera. È come se si appropriasse di questo mito, occidentale, classico, bianco, per poi parlare della condizione femminile in genere.

Oltre ad essere trasversale tra i generi, questo romanzo è anche trasversale tra le specie, perché in qualche modo un personaggio clou è un cane femmina. E se da una parte la protagonista, una ragazzina giovane, si scopre incinta, dall’altro China, che è una pitbull abituata anche a combattere, partorisce dei cuccioli, e attorno a questa nascita la storia in qualche misura ruota. Dimmi la verità: quanto ti sei commossa a leggere e tradurre la storia di questo cane?

Un traduttore è un po’ come un anatomopatologo: quando penso al libro che sto traducendo a volte mi dico che lo sto veramente sezionando, facendo a pezzi, per poi ricomporlo. Tradurre quindi è un lavoro che ha anche un lato molto freddo: per essere la traduttrice di questo libro mi sono commossa moltissimo. Tra l’altro io che non amo particolarmente i cani mi sono affezionata tantissimo a questo personaggio che è quasi umano, anche nel suo essere spesso crudele (uccide un cucciolo, è un cane da combattimento…). Ci sono però dei momenti altissimi e inoltre fa continuamente da contraltare alla narratrice, Esch, la ragazzina. L’amore sviscerato e corrisposto che il cane ha per uno dei fratelli della protagonista e tutti i suoi comportamenti molto istintivi in realtà sono uno specchio dei comportamenti e di ciò che succede o sta per succedere ai personaggi. Quindi sì: a tutti gli effetti è uno dei protagonisti del romanzo, il cane China.

È descritto abbastanza nel dettaglio un combattimento tra cani, ci sono delle situazioni molto lontane dalla nostra vita quotidiana: ad esempio all’inizio della storia un ragazzino non vuole mangiare non mi ricordo che cosa perché dice che sa di elastici cotti… Ecco, quanto è stato difficile immergersi in quel mondo per tradurre al meglio una realtà così distante, immagino, da quello della tua vita quotidiana? hai dovuto fare delle ricerche particolari?

A di là del fatto che è stato obiettivamente un libro difficile da tradurre perché usa una lingua molto particolare, anche molto ricercata in certi punti, e invece il dialogo tra i personaggi è completamente diverso, più gergale ‒ difficoltà queste tutte legate alla lingua ‒, entrare invece nella storia, che è così aspra e così dura, per me non è stato particolarmente difficile. La Ward infatti, pur nel racconto estremo ‒ per dirla con un famoso titolo di Carrere Vite che non sono la mia ‒, mette al centro del romanzo dei temi ancestrali come il binomio vita-morte, il femminile, la maternità, temi insomma con cui abbiamo a che fare indipendentemente dalla nostra appartenenza a una classe sociale o a un gruppo minoritario eccetera. Un materno ferito e abbandonato, tradito, incarnato sia dalla protagonista narratrice che dalla madre di Esch, si intreccia con un materno invece potente, potenzialmente assassino, che è illustrato dal personaggio di China e da Medea stessa: questi sono temi talmente ancestrali e talmente di tutti ‒ proprio questo nucleo violento e selvaggio della maternità, e la potenzialità di vita e di morte insieme che esso racchiude ‒ che in fondo non ci vuole molto per entrare nella storia. Io direi che il valore di questo libro è proprio la sua capacità di narrare in modo estremo tematiche che in realtà sono universali: ancora adesso le donne muoiono di parto [NdR: come la madre di Esch] e più che mai vediamo nella cronaca di tutti i giorni madri che uccidono i figli. Questo nucleo scuro del materno esiste, non è un qualcosa di irriducibile e di edulcorabile.

Un’ultima curiosità: hai conosciuto l’autrice? le hai parlato? le hai scritto?

No, non l’ho conosciuta e tra l’altro non credo che verrà in Italia nell’immediato. Spero l’anno prossimo: adesso NN pubblicherà tutti i suoi romanzi [NdR: Salvare le ossa è il primo di una trilogia]. Le ho scritto per chiarire qualche dubbio, però per ora abbiamo avuto un contatto pragmatico sui miei dubbi linguistici.

Ti raccontiamo il romanzo in questo video:




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